Travaglio, Di Pietro, ami e abboccamenti
| buttato dentro il 14 Maggio 2008 | alle ore 10:12 | da Alessandro Mano | nelle categorie politica | parlando di gioiosi argomenti quali ad esempio angelino alfano, berlusconismo, bipartisan, cultura, dialogo, elio vito, filippo facci, lega nord, marco travaglio, mediaset, opposizione, paolo del debbio, paolo liguori, partito democratico, pontida, rai, renato schifani, roberto calderoli, roma, sandro bondi, silvio berlusconi, stato, tv, udc, umberto bossi, walter veltroni | se hai qualcosa da dire leggi i 7 commenti e aggiungine un altro » |Due parole sulla vicenda Travaglio: perché tutto ‘sto casino?
Dire che Schifani era amico di gente che poi si è rivelata mafiosa è la verità. Non è penalmente rilevante, ma è piuttosto infamante: negli Stati esteri, per molto meno si perderebbe la reputazione, altro che seconda carica dello Stato.
Non solo il giornalista a rivelare questi dati diverrebbe famoso, ma avrebbe il doppio degli spazi, per merito. E se solo si rivelassero “voci” e non “verità”, quello stesso giornalista finirebbe a scopar le foglie.
Seconda cosa: dire che Travaglio ha troppo spazio in TV è un insulto al buon senso. Proprio in questo periodo in cui si vedono Filippo Facci (bugiardo e piuttosto incapace, ma belloccio e molto telegenico), Paolo Liguori (moderato come un crampo in quel posto), Paolo Del Debbio (opinionista tra la gente, che puntualmente vira a proprio favore) e altri giornalisti prezzolati in tutte le salse, dire che Travaglio ha molto spazio è da idioti: in Mediaset non appare nemmeno da morto, in RAI appare una volta a settimana, e in qualche ospitata. Non la vedo, francamente, questa sovraesposizione.
Dà, come sempre, l’idea del pretesto per ambire ancora una volta a spartirsi la RAI, a cacciare qualche voce fuori dal coro con la scusa patetica della mancanza di rispetto verso le istituzioni e dell’uso criminoso del mezzo pubblico. Tutte cose già sentite, tutte cose cui questa volta nessuno si opporrebbe.
Già, perché Berlusconi è riuscito non soltanto a distruggere la sinistra, con l’aiuto di Veltroni, ma sta riuscendo anche a distruggere il PD (se mai fosse nato, è ancora da chiarire): opposizione costruttiva, fine dell’anti-berlusconismo, applausi ai suoi discorsi, imbavagliamento della stampa bipartisan, non una critica che sia una. Dopo che Silvio è riuscito a far accettare alla Nazione ministri come Calderoli, Bossi, Vito, Alfano e Bondi (alla cultura!) senza che dall’opposizione non si levasse una mosca, un commento perlomeno critico, un fischio, chissà quali porcate riuscirà a propinare a tutti in cinque anni di governo senza una vera opposizione. Come ha già detto qualcuno, la vera opposizione in parlamento è l’UDC!
Il centrodestra ha buttato l’amo delle riforme costituzionali. E tutti hanno abboccato. Sullo snellimento dell’apparato statale, sull’abolizione del bicameralismo perfetto, sulla nuova legge elettorale, sono tutti d’accordo. Sul federalismo fiscale e sulle nuove forme di autonomia finanziaria e amministrativa regionale, assolutamente no. La Lega è un partito di governo, ma assolutamente minoritario: e anche tra i suoi elettori, ben pochi sono quelli che hanno votato il carroccio per questi motivi. L’elettore leghista vuole tornare a respirare nelle periferie intasate di immigrati irregolari, vuole scacciare la terribile paura dell’insicurezza che proprio il centrodestra gli ha inculcato, vuole che il suo posto di lavoro torni sicuro. Vuole qualche rom in meno, vuole che le rapine ci siano come sempre, ma vuole che se ne parli un po’ meno perché non c’è più il komunista di turno da incolpare di lassismo e buonismo.
Di come paga le tasse, e se vanno a Roma o a Pontida, gliene frega relativamente: basta pagarne poche, e vedere qualche vigile sotto casa e il marciapiede pulito. La minoranza federalista degli elettori tiene in pugno la maggioranza del partito, del governo, del parlamento e del Paese. Un’escalation eccezionale, con l’otto per cento dei voti.
Non capisco che rilevanza giornalistica abbia dire che Schifo Schifani abbia avuto amicie e collaborazioni con persone che anni dopo sono stati accusati di mafia?
Hai ragione su Facci ,ma quello che va più in Tv ( soprattutto da Chicco Mentana e da Brunone Vespa)è Tonino Di Pietro!
Beh, sai com’è, è appena diventato seconda carica dello Stato… solitamente si richiede una certa reputazione.
I politici sono tutti sovraesposti. Soprattutto in questo periodo, potremmo vivere senza. E invece, ospitate e dichiarazioni in voce a go-go
Se però usiamo il metodo Travaglio c’e da aggiungere anche questo articolo:
Non sempre i fatti sono la realtà
di GIUSEPPE D’AVANZO
Non so che cosa davvero pensassero dell’allievo gli eccellenti maestri di Marco Travaglio (però, che irriconoscenza trascurare le istruzioni del direttore de il Borghese). Il buon senso mi suggerisce, tuttavia, che almeno una volta Montanelli, Biagi, Rinaldi, forse addirittura Furio Colombo, gli abbiano raccomandato di maneggiare con cura il “vero” e il “falso”: “qualifiche fluide e manipolabili” come insegna un altro maestro, Franco Cordero.
Di questo si parla, infatti, cari lettori – che siate o meno ammiratori di Travaglio; che siate entusiasti, incazzatissimi contro ogni rilievo che gli si può opporre o soltanto curiosi di capire.
Che cos’è un “fatto”, dunque? Un “fatto” ci indica sempre una verità? O l’apparente evidenza di un “fatto” ci deve rendere guardinghi, più prudenti perché può indurci in errore? Non è questo l’esercizio indispensabile del giornalismo che, “piantato nel mezzo delle libere istituzioni”, le può corrompere o, al contrario, proteggere? Ancora oggi Travaglio (“Io racconto solo fatti”) si confonde e confonde i suoi lettori. Sostenere: “Ancora a metà degli anni 90, Schifani fu ingaggiato dal Comune di Villabate, retto da uomini legato al boss Mandalà di lì a poco sciolto due volte per mafia” indica una traccia di lavoro e non una conclusione.
Mandalà (come Travaglio sa) sarà accusato di mafia soltanto nel 1998 (dopo “la metà degli Anni Novanta”, dunque) e soltanto “di lì a poco” (appunto) il comune di Villabate sarà sciolto. Se ne può ricavare un giudizio? Temo di no. Certo, nasce un interrogativo che dovrebbe convincere Travaglio ad abbandonare, per qualche tempo, le piazze del Vaffanculo, il salotto di Annozero, i teatri plaudenti e andarsene in Sicilia ad approfondire il solco già aperto pazientemente dalle inchieste di Repubblica (Bellavia, Palazzolo) e l’Espresso (Giustolisi, Lillo) e che, al di là di quel che è stato raccontato, non hanno offerto nel tempo ulteriori novità.
E’ l’impegno che Travaglio trascura. Il nostro amico sceglie un comodo, stortissimo espediente. Si disinteressa del “vero” e del “falso”. Afferra un “fatto” controverso (ne è consapevole, perché non è fesso). Con la complicità della potenza della tv – e dell’impotenza della Rai, di un inerme Fazio – lo getta in faccia agli spettatori lasciandosi dietro una secrezione velenosa che lascia credere: “Anche la seconda carica dello Stato è un mafioso…”. Basta leggere i blog per rendersene conto. Anche se Travaglio non l’ha mai detta, quella frase, è l’opinione che voleva creare. Se non fosse un tartufo, lo ammetterebbe.
Discutiamo di questo metodo, cari lettori. Del “metodo Travaglio” e delle “agenzie del risentimento”. Di una pratica giornalistica che, con “fatti” ambigui e dubbi, manipola cinicamente il lettore/spettatore. Ne alimenta la collera. Ne distorce la giustificatissima rabbia per la malapolitica. E’ un paradigma professionale che, sulla spinta di motivazioni esclusivamente commerciali (non civiche, non professionali, non politiche), può distruggere chiunque abbia la sventura di essere scelto come target (gli obiettivi vengono scelti con cura tra i più esposti, a destra come a sinistra). Farò un esempio che renderà, forse, più chiaro quanto può essere letale questo metodo.
8 agosto del 2002. Marco telefona a Pippo. Gli chiede di occuparsi dei “cuscini”. Marco e Pippo sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un’ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l’avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l’albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia.
Michele Aiello, ingegnere, fortunato impresario della sanità siciliana, protetto dal governatore Totò Cuffaro (che, per averlo aiutato, beccherà 5 anni in primo grado), è stato condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pippo è Giuseppe Ciuro, sottufficiale di polizia giudiziaria, condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e aver rivelato segreti d’ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Marco è Marco Travaglio.
Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all’integrità di Marco Travaglio un’ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice? Davvero qualcuno, tra i suoi fiduciosi lettori o tra i suoi antipatizzanti, può credere che Travaglio debba delle spiegazioni soltanto perché ha avuto la malasorte di farsi piacere un tipo (Giuseppe Ciuro) che soltanto dopo si scoprirà essere un infedele manutengolo?
Nessuno, che sia in buona fede, può farlo. Eppure un'”agenzia del risentimento” potrebbe metter su un pirotecnico spettacolino con poca spesa ricordando, per dire, che “la mafia ha la memoria lunghissima e spesso usa le amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso” . Basta dare per scontato il “fatto”, che ci fosse davvero una consapevole amicizia mafiosa: proprio quel che deve essere dimostrato ragionevolmente da un attento lavoro di cronaca.
Cari lettori, anche Travaglio può essere travolto dal “metodo Travaglio”. Travaglio – temo – non ha alcun interesse a raccontarvelo (ecco la sua insincerità) e io penso (ripeto) che la sana, necessaria critica alla classe politico-istituzionale meriti onesto giornalismo e fiducia nel destino comune. Non un qualunquismo antipolitico alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile che può contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque.
Dalla fassssssscccccistima e berlusconiana Repubblica del 13 maggio
Travaglio ha querelato D’Avanzo…
non voleva querelare però poi l’ha fatto…che si sia sbagliato??o
D’Avanzo è clamorosamente in malafede.
Visto che citi giornalisti, cito Gramellini di stamattina (non che straveda per lui, ma si occupa proprio di questo argomento):
“Invidiando”
“Ah, cosa sarebbe il mondo senza l’invidia. Senza i capannelli di scrittori impegnati che nel retropalco della Fiera del Libro parlottavano di Saviano, e chi lo trovava arrogante, chi esibizionista, chi fanatico, chi semplicemente ossessivo, pur di non ammettere che la sua colpa inemendabile è di aver venduto milioni di copie del suo libro sulla camorra, mentre loro faticano a uscire dal cerchio del «salottume» editoriale.
Ah, cosa sarebbe il mondo senza quei giornalisti che nei corridoi delle redazioni, talvolta persino davanti alle telecamere, spargono fiele su Travaglio, non perdonando a se stessi di non essere riusciti a diventare Travaglio, cioè uno che vende libri, riempie teatri, buca il video e sa coltivarsi un pubblico di lettori fedeli. E cosa ero io, nel mio piccolo, quando l’invidia mi suggeriva corsivi cattivelli contro Baricco, perché in realtà i riccioli e la scrittura ipnotica avrei voluto averli io.
Ora che sono guarito dal morbo, posso permettermi di scrivere che Saviano merita rispetto benché non sia il mio genere (mi piace troppo il lieto fine), che Travaglio è un inquisitore documentato e in buona fede ma ignora l’importanza delle sfumature (la vita vera non assomiglia alla requisitoria di un pm: il male, come il bene, non gioca mai da una parte sola), e che Baricco comincia a perdere i riccioli pure lui. Perciò lo adoro.”
Perchè D’Avanzo sarebbe in malafede?
Ha riportato un fatto non penalmente rilevante come quello di Schifani.
Quindi usando le parole del “prode” MArco anche lui è un idiota perchè non ha saputo riconoscere un mafioso?
Malafede? Il bue che dice cornuto all’asino.
Prima scrivi un pippone eterno sul fatto che quello di Travaglio non è giornalismo, poi usi lo stesso metodo con il tuo “nemico”. Malafede e invidia, direi.