«Come si spiega» le disse una volta, […] «che mi sembra di conoscervi da tanti anni?»
«Perché io vi voglio bene» ella disse «e non voglio nulla da voi»
Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Ballantine Books, New York, 1953 Continua…
| buttato dentro il 10 Febbraio 2012 | alle ore 14:45 | daAlessandro Mano | nelle categoriecultura | parlando di gioiosi argomenti quali ad esempiocarlo fruttero | se hai qualcosa da direscrivilo qui » |
«… in quanto? ma perché dici “in quanto”, scusa? Ma voi parlate così, vi insegnano a parlare così? Ah, sarebbe il linguaggio della legge? Scusi tanto vostro onore ma a casa mia, nel mio letto se vogliamo precisare, puoi anche dire semplicemente “perché”»
Carlo Fruttero, Donne informate sui fatti, Mondadori, Milano, 2006
Nel falso ottimismo che insegue la nostra vita, dobbiamo saper fare ridere. In una società in cui l’ironia è assente, il sorriso raro ma la risata grassa è da celare perché cafona, se non fai almeno sorridere gli amici il sabato sera non sei nessuno. Quando il talento manca, ci si arrangia come si può. Quando poi si è incattiviti dall’insuccesso dovuto alla mancanza di talento, l’arrangiarsi diventa continuo. Walter Fontana non ha di questi problemi, ma i suoi personaggi tristi sì: sono piombati nel mondo della comicità quando ormai tutto è comico e niente lo è. Non fanno ridere, ma non se ne preoccupano: la strada segue un percorso che dà le spalle alla celebrità, ma la speranza di sfondare c’è sempre, non si sa bene in quale ambito, basta differenziare le attività. Un libro piacevole, che fila via in fretta per facilità di scrittura e leggerezza, ma nulla più: vittima della sua stessa trama, che narra di risate strappate in un mondo in cui far ridere è un obbligo, è una storia che non fa ridere di comici che non fanno ridere. Qualche riferimento satirico, le solite tonnellate di equivoci; in qualche passaggio fa riflettere sulla risata, più che far ridere.
Si può dire che Fontana è vittima di Carcarlo Pravettoni. Senza il bagliore di successo mainstream i suoi comici sarebbero meno tristi. Senza il bagliore di “Mai dire…”, Fontana sarebbe una bella scoperta. Continua…
Questo libro è stato a lungo in bilico tra la normale recensione e la categoria “libri da non leggere”.
Lo stile di scrittura e l’idea pur interessante del dialogo e del rimbalzare gli argomenti in base alle competenze degli autori alla lunga sono risultati pesanti nella lettura. Gli argomenti, non particolarmente brillanti, sono pochi e esposti in maniera nemmeno così originale. Le schede, che dovrebbero fornire il parere competente di vari esperti nelle diverse materie, non sono così eccezionali, e alla fine del libro si rimane sospesi, come a metà. In attesa di qualcosa.
La Valle d’Aosta è descritta in maniera irreale, quasi catartica: l’utopia della Valle del futuro è tratteggiata in modo ancor più lieve di quella contemporanea, e le soluzioni ai numerosi problemi proposti non solo non sono fornite (e ci mancherebbe), ma non si propone null’altro che di affrontarli per giungere all’ideale “valle del benessere”, dove tutti vivono bene, residenti e turisti. Tutti ricchi, felici, goduti. L’intento del libro però è proprio quello di dare il via ad un dibattito complessivo: stimolare una discussione che per troppo tempo decisori privati e pubblici, burocrati e faccendieri di corte hanno rinviato, volendo perdere di vista di propsito i problemi reali di sviluppo e crescita economica, più indaffarati a distribuire il distribuibile che a pensare al futuro, gridando all’emergenza per prendere le decisioni più scomode e rimandando quelle che sarebbero servite realmente.
Un libro elettorale? Di freno e cambiamento al modello attuale? Sinceramente ormai l’alternativa all’attuale sistema non esiste: la “valle del benessere” per chi ci governa esiste già, e tutte le volte che un modello alternativo viene proposto deve passare al vaglio delle priorità imposte dalla classe dirigente, inamovibile.
La Valle d’Aosta del futuro? Il sogno valdostano? Spiace dirlo, ma probabilmente non esisterà fino a che l’attuale sistema di autonomia resterà in piedi… Continua…
Robert Fisk dovrebbe essere uno di quei nomi che, invocato, evocasse reportage d’autore, esperienza sul Medio Oriente, memoria storica delle guerre che segnano quell’area dal dopoguerra ad oggi, autorevolezza e notorietà. E invece, in Italia è quasi sconosciuto. Giunti al confine nazionale, al di là è il vuoto: a parte qualche premio Pulitzer, al di qua filtra ben poco dei grandi giornalisti internazionali. E ci teniamo i D’Avanzo, i Giordano, i Facci come esempio. Bah!
Escludete pure questa introduzione, aggiunge poco ai miei pensieri dopo questa lunghissima, faticosa ma interessante lettura. Cronache mediorientali è tutt’altro che un libro facile, un best seller. E’ un libro di storia, di reportage giornalistico. Che, attraverso la narrazione del dietro le quinte dei tanti servizi che l’autore ha scritto e fotografato per il Times prima e per l’Independent poi, fornisce un quadro completo degli ultimi 60 anni di tensioni internazionali, dall’Algeria alla Palestina, dalla Bosnia al Pakistan: una vita a Beirut per lavoro, “il luogo che ormai chiamo casa“, usando le parole dell’autore, intramezzata da numerosissimi viaggi in tutti i Paesi arabi e oltreoceano, nella tana dei nuovi imperatori, per cercare di capire. Capire, non limitarsi alla cronaca come fanno molti giornalisti “neocon” americani, che avallano ogni decisione del proprio governo se è a favore di Israele e contro il “terrorismo”, a prescindere dall’approfondimento e dalla storia. Continua…
Un libro di libri, storie nella storia: protagonisti che scrivono, terapeuticamente, di altri personaggi che scrivono.
Religioni diverse, etnie e ideali politici. Cristiani, cattolici, protestanti, musulmani, copti e maroniti; anarchici, comunisti e socialisti; italiani, africani, mediorientali, libanesi, armeni. Polvere, acqua, letame, cibo. Un racconto intrecciato di lotte personali, collettive, confessionali, popolari, che spazia dall’Italia Cinquecentesca all’Egitto contemporaneo, alla Palestina in guerra, al deserto come luogo da attraversare. A volte è difficile da capire e da seguire.
Maurizio Maggiani potrebbe scrivere di qualunque cosa. E in effetti lo fa spesso: riesce ad incollare il lettore alle pagine, ad incantarlo nonostante il racconto sia complesso, a volte incomprensibile, e veda come narratori i protagonisti stessi, siano questi sconosciuti, immaginari o contemporanei, dal sommo Ungaretti ad un Pascale qualunque. Ma come descrive lui una donna, una sensazione, una situazione mentale… sono in pochi a saperlo fare. In gran parte del libro si narra di un certo Saverio, colpito da un malessere strano, incomprensibile: e Maggiani lo racconta perfettamente, lasciandoci sempre lì a voler trovare un soluzione per il poverino malato, a voler guarire lui e poi a guarire con lui. A volte, basta la volontà. Continua…
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