I domandoni-oni-oni #02
| buttato dentro il 8 Ottobre 2005 | alle ore 20:00 | da Alessandro Mano | nelle categorie domande, musica | se hai qualcosa da dire scrivilo qui » |Che differenza c’è tra i Rolling Stones di oggi e i Duran Duran di oggi?
Che differenza c’è tra i Rolling Stones di oggi e i Duran Duran di oggi?
Abbiate la decenza di cambiare titolo alla testata, se volete mettere quelli lì in copertina… Perdincibacco…
La rana pazza in testa alle hot parade…
Album rock. Un abisso rispetto al passato, i Garbage del 2001 sono scappati. Voce femminile, “dell’androgina Shirley” (così scriverebbe un vero critico musicale). Musicisti decisi, puliti, mai eccessivi. Meno elettronica e ridondanza, più suoni veri e semplici. Con un po’ di verve compositiva in più, un ottimo album.
Rispetto ai precedenti lavori, i lenti melensi (le ballate, chiamatele come gradite) sono spariti, così come gli overdubs elettronici e manipolativi, rendondo un disco molto adatto ai live. Batteria al punto giusto, mai come in questo lavoro gli strumenti hanno ragione di esistere e non sono lì a formare un tutt’uno con il resto. La voce di Shirley Manson è sensuale e quasi sussurrata, per accendersi solo quando è necessario. Molto gradevole e mai sopra le righe, per me poi che preferisco una voce femminile a cento maschili, a meno che non sia un Vedder, un Daltrey, un Morrissey. Un punto a favore.
Il disco si apre con decisione, Bad boyfriend stacca subito rispetto a BeautifulGarbage, ma Run baby run (che non c’entra niente con Sheryl Crow) torna alle sonorità dell’ottimo precedente. “Beauty”, pieno di elettronica ma di pezzi di serie A decisamente più ispirati di questo comunque bellissimo “Bleed”, ma che rendevano pesante l’ascolto ad oltranza. Right between the eyes è in tipico stile Garbage, Why do you love me, a parte il ritornello ripetitivo, è il singolo d’esordio più azzeccato: un buon impatto, un cambio di ritmo deciso. La title track è uno dei brani più lenti, ma abbandona lo stile lollipop (non il gruppo… la caramella) di Can’t cry these tears nel lavoro precedente, così come It’s all over but the crying. Metal heart è il brano più deciso, delizioso. Sex is not the enemy è il brano più riottoso, perlomeno per il testo molto azzeccato.
The boys wanna fight è una verità molto discotecara, probabilmente il prossimo singolo. Vediamo se ho naso… Why don’t you come over è evidentemente il brano più debole, stile Spice Girls in declino con un’iniezione di chitarre, in cui anche la voce dolce di Shirley non rende a dovere. Happy home è nuovamente lento, ma si anima a dovere ed è un’ottima chiusura per un album più vario dei precedenti, di un gruppo di musicisti maturi che suona per il piacere di farlo.
La risposta a chi li criticava per aver abbracciato il pop. Se ancora dovevano dare risposte.
Tracklist:
01. Bad boyfriend
02. Run baby run
03. Right between the eyes
04. Why do you love me
05. Bleed like me
06. Metal heart
07. Sex is not the enemy
08. It’s all over but the crying
09. The boys wanna fight
10. Why don’t you come over
11. Happy home
… darla in mano a Vodafone o Tim…
James Blunt, High
Franco Battiato compie oggi 60 primavere. Per lui si può proprio dirlo, essendo nato nei dintorni del solstizio. Su di lui non oso scrivere nulla, non posso che omaggiarlo con una delle mie preferite tra le sue canzoni. Polemica, ruvida, dolce… Non sono solito riportare testi altrui, ma qui faccio un’eccezione.
Complice una serata fiacca, mi ritrovo a chiacchierare con due amici fuori dal “Bar della strada dei camionisti” di Villanova Baltea (doppia italianizzazione dei nomi) mentre dentro suonano i SAD, cioè Francesco-C con la sua band (per la cronaca, il Maestro Patt al basso, il Cure-ggiante Loris alla chitarra, Cieri Francesco alla voce con un taglio di capelli alla paroliere dei Negrita e Lollo alla batteria). Così, dalla finestra, sto a guardare il solo batterista astemio che si dà da fare tra i piatti.
“Porca miseria se mi piace!” è il commento di un altro batterista per me anonimo. L’andirivieni dei fumatori è crescente. “Io suono in un altro modo, mi piace essere preciso ma semplice. Lui fa molte più rullate“. L’acustica del locale non è il massimo ma si sa: in Valle d’Aosta, per fare musica, bisogna attaccarsi forte e tirare. Essere disposti a suonare in tutti i buchi e in tutte le bettole per sperare di ottenere palchi più degni in cui si possa far sentire della musica e non del rumore.
“Azz… Ha il doppio pedale. E guarda, non sta fermo un attimo, tra le luci e il lampeggiante…“. Dai tempi “gloriosi” degli Zoo, band scioltasi quando ancora cercava di emergere dal pantano aostano poco prima di suonare al Bloom di Mezzago, dove erano passati Nirvana e band di spessore simile, Lollo aziona con un terzo pedale, oltre alla grancassa con il primo e dei piatti col secondo, anche un classico lampeggiante da TIR o da camion dell’immondizia, che crea un’atmosfera surreale e coinvolgente. La luce roteante giallastra illumina le ombre del pubblico. Con gli Zoo impreziosiva come scenografia il metal angosciante e trascinante della band. Con i SAD è un po’ fuoriluogo, ma fa pur sempre il suo effetto.
“Ha stile, c’è poco da fare” prosegue il chiacchierio di un Re di Maggio mentre Lollo conclude un altro pezzo in cui è stato l’unico strumento percepibile chiaramente, più per le vibrazioni del legno attorno a noi che per l’effettivo audio.
Una mezza delusione. Per un giudizio definitivo bisogna attendere il disco, previsto per maggio, quando finalmente si riusciranno a percepire chiari la voce di Francesco e i preziosismi stilistici di Patt e del Cure de noartri. La musica è sempre la stessa e, per dirla tutta, ha stufato. Ma è normale, dopo perlomeno 4 concerti al mio attivo con la nuova formazione che, lasciata l’elettronica a Francesco solista, è passata a suoni rock più tradizionali. Da sommare a 15-16 con la vecchia formazione. Urgono novità…
1) Liberata Giuliana Sgrena. Ucciso dai soldati statunitensi un agente del Sismi che la stava liberando. Bella roba… Il TG1 parla di ferimento e minimizza. Corriere e Repubblica online sanno dell’accaduto da ore, ma la RAI finge di non sentire.
2) Ho guardato allibito il “Question time di San Remo” nella pausa pranzo. Peccato che non ho visto San Remo ieri sera ed era come guardare parlare qualcuno fuori da una vetrina e non sentirlo.
Come ogni anno i propositi erano: quest’anno non mi fregano.
Sanremo non lo guardo. Finalmente Mediaset fa controprogrammazione con i contromaroni. Risultato: ottocentesima replica del “Fuggitivo” con Harrison Ford.
TV su Raiuno.
Ormai è tardi, mi sono perso l’inno di Mameli schitarrato. Sarà l’ennesimo festival rivoluzionario, è dai tempi di Fazio che è così. Ma dopo Fazio si è sempre tornati indietro, un Sanremo più arcaico di quelli di Baudo…
Bonolis promette scintille, dopo aver imbambolato le materie grigie di mezza Italia con i suoi ingiuriosi (per l’intelligenza media) pacchi. Ma sul palco dell’Ariston, in cui la scala non manca (sigh), sembra un pesce fuor d’acqua. Parla, parla, parla e ancora parla ed è sempre una parola di troppo. Sarà in serata storta. La Clerici, superinflazionata di Raiuno sia come presenze, sia come abito, non è Laurenti. Le gag tra i due sono da latte alle ginocchia. Quando poi arriva la Felini, da Montevideo come dice la Gialappa’s, cala il gelo. Altro che oca, questa qui è un’oca al quadrato. Sembra straniera anche se è di Lodi, non le si richiede un Q.I. da Bonolis, ma almeno la decenza di non sbraitare in continuazione “Golzi – Marrale – Facchinetti” con un tono di voce da tredicenne malata…
I cantani: Tozzi è Tozzi (sai che innovazione, se inviti lui e Cutugno il festival sarà vecchio per definizione), Paola e Chiara paolaechiareggiano da palco del Festival (quindi un po’ di ritegno è d’obbligo), i Matia Bazar hanno una cantante con la coda più lunga nella storia della musica e la canzone è sempre la stessa, pur essendo più blues il marchio di fabbrica si nota.
Nicola Arigliano (sempre sentito solo di nome) è triste, triste, triste. Ha 82 anni, dunque tutti sono contenti che sia sopravvissuto al Festival. DJ Francesco: no-comment.
Cutugno-Minetti: trottolino amoroso dieci anni prima rifatto quindici anni dopo. Alexia: salvabile. Gigi D’Alessio: vedi DJ. Michael Bublé: siparietto orrendo, se prima Bonolis poteva anche starmi simpatico nel mio vippometro è sceso di unidici punti su dieci. Altro che provincialismo, la sagra della porchetta di Ariccia glie fa ‘n baffo. Perché mai questo giovanotto sovrappeso debba venire al Festival lo sa solo Del Noce. E perché debba rovinarsi la vita cantando questo genere lo sa solo lui.
Le Vibrazioni propongono la settima canzone uguale a se stessa. Sorpresa: quando parla, il cantante non ha la voce odiosa.
Renga ha una buona canzone, per essere Renga. Parte piano, e via via si gonfia. A metà sembra una canzone normale, non di uno che vive con Ambra Angiolini. Poi ricade lentamente nel proprio torpore.
Annuncio della morte di Castagna (potevano aspettare altre due ore… Repubblica mezz’ora prima aveva già le dichiarazione del Pippo nazionale sulla morte del dottor Stranamore). Tributo commosso, qualcosa di buono in tutto il perbenismo in sala c’è. Ovviamente non si alzano tutti in piedi, è snob.
Antonella Ruggiero: per fortuna dopo l’annuncio c’è lei. Canzone nei canoni Ruggiereschi, MatiaBazareschi e Sanremesi, ma almeno non orrenda come le precedenti.
Masini TAC scattano le 23:45, ora prevista di chiusura della serata. Me ne vado a nanna mettendo fine a questa tortura. Mancano ancora 8 cantanti, ritardo nella norma.
Un Festival è davvero orrendo. Non ci trovo per ora niente da salvare, né della musica, né nella conduzione, né nei superospiti (super?)
Mes amis mi hanno regalato per Natale (uno dei pochi regali ricevuti, meglio così) “The Beatles Box“, raccolta di quattro biografie dei Beatles di Alan Clayson, una per ognuno. Dopo una prima lettura di quella di John, un primissimo commento, che molti di voi troverete noioso: senza Brian Epstein i fab sarebbero stati molto meglio ma non li avrebbe conosciuti nessuno. A causa di questo manager puntiglioso, i fab hanno esordito senza essere i ribelli che erano in precedenza, con un batterista che successivamente avrebbe fatto notare i propri limiti (o la sua grandezza?), con un look che li ha resi cool e pop.
In precedenza ho finito di leggere le biografie di “Marco Pantani, Un uomo in fuga” della sua (ex) manager Manuela Ronchi e del giornalista Gianfranco Josti, e “Marco Pantani” di Beppe Conti. Il primo, più personale e meno giornalistico, almeno nella seconda parte, svela la verità (o meglio, una delle verità) sugli ultimi anni di vita del Campione, da Campiglio in poi. La carenza descrittiva della prima parte è colmata dalla seconda biografia, maggiormente giornalistica e curata, che però come rovescio della medaglia ha una velata ipocrisia nel racconto dell’ultima parte e non può avere certo la cura del dettaglio della prima.
Infine, ho iniziato la lettura di “Regime” di Marco Travaglio e Peter Gomez. Tutt’altra lettura rispetto agli altri due libri, presenta una concezione che, con il livello dei media di questo periodo, risulta quantomeno strana.
Ah, il regime di cui si parla è quello attuale italiano, causato dalla concentrazione dei 4 poteri in una persona sola, l’Altissimo. E, seppur con una visione che sarebbe stigmatizzata e censurata dal regime se solo non fosse un libro, descrive pennellate di un’agghiacciante realtà dei nostri tempi.
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