Lorella Vezza e altri tre esponenti di Renouveau Valdôtain hanno abbandonato il movimento, in piena contestazione con il nuovo gruppo dirigente. Fino a ieri la Vezza era la coordinatrice, e dettava le linee da seguire per tutti. Appena cambia il coordinatore, di un partitino appena nato, scappa la redazione del giornale di partito e buona parte dell’ex vertice.
Ora, se si fonda insieme un partito, un motivo ci sarà: convenienze, amicizie, ideali, coraggio, voglia di mettersi in discussione. Come può la motivazione durare per nemmeno un anno? Come si può pretendere che l’alleanza che si candida a governare la Valle d’Aosta per i prossimi cinque anni sia basata su un movimento come questo, dove un giorno si parte, tutti assieme, e dieci giorni dopo ognuno è già per la propria strada? Con quali credenziali si potrà rivolgere agli alleati, che già di per sé di problemi ne hanno a sufficienza?
Mettendo insieme un Partito democratico spezzato in due (area filo-sinistra e area filo-Union Valdôtaine), un Renouveau spezzato in due (area filo-sinistra e area filo-Union Valdôtaine?), una Vallée d’Aoste Vive che pesa come il due di picche e una sinistra radicale che propone centinaia di posizioni diverse (da Di Pietro, addirittura lui, a Rifondazione, dai Verdi alla sinistra critica) si vuole creare una vera alternativa al potere, logoro e inefficiente, che c’è ora.
Interessante, ma chi ci crede?
A carnevale, ogni scherzo vale. Ieri era martedì grasso, e Trenitalia si è scatenata. Parto da Aosta la mattina presto, diretto a Milano, tutto fila liscio, a parte il solito ritardo trascurabile.
Per il ritorno, sono in stazione Centrale alle 14.50, mezz’ora prima della partenza del mio treno. Salgo, prendo posto su un Vivalto che profuma di nuovo.
“Annuncio ritardo: il treno Xyz delle ore 15.15 per Torino Porta Nuova partirà con 5 minuti di ritardo“. Ohibò.
“Annuncio ritardo: il treno Xyz delle ore 15.15 per Torino Porta Nuova partirà con 20 minuti di ritardo“. Doppio ohibò.
“Si avvisano i signori viaggiatori che il treno Xyz delle ore 15.15 per Torino Porta Nuova è soppresso per un guasto al locomotore“. Disappunto. Una signora vicino a me, che pareva la metafora della sfinge fino a quel momento, esclama «Eh no, eh… Fateci partire, sennò qui scatta la rivoluzione… la terza guerra mondiale!»
Non era che l’inizio.
Non fidatevi mai dei vecchietti che leggono “Il Foglio“. Paiono tanto intellettuali, all’inizio, ma poi scatarrano, inveiscono, trattano la moglie peggio di un fondamentalista islamico e fanno battute di cattivo gusto. Cambiato treno, e salito su quello delle 16.15, partiamo alla volta di Torino, puntuali. Peccato che a Milano Certosa ci aspetta una fermata non prevista. “Buongiorno a tutti i viaggiatori, sono il capotreno. A causa di un investimento in linea, tre le stazioni di Magenta e Trecate, il treno subirà un ritardo imprecisato“: un’altra signora si scatena, lei non cita la terza guerra mondiale, ma la rivoluzione. E’ contagiosa, la rivoluzione a parole. Il vecchietto del Foglio tratta malissimo la moglie, chiedendole di fare qualcosa, di interrogare il capotreno, sostenendo ahimé che per lavorare a Trenitalia bisogna essere dei cretini e che qualunque cosa gli dicesse sicuramente era una balla. Una balla colossale, ma che bisognava pur sempre sapere qualcosa piuttosto che star lì con le mani in mano.
Io, dopo quasi cinque anni di viaggi in treno, sono rassegnato. Meglio il silenzio della rivoluzione a parole.
Dopo mezz’ora, annunciano che la linea sarà bloccata per ore, e che ci faranno fare un itinerario alternativo “attraverso Sesto Calende“. In pratica, un giro che allunga il percorso del doppio della lunghezza, e di non si sa quanto in termini di tempo. Cuore in pace, mi rimetto a far le mie cose: spero di arrivare ad Aosta perlomeno per le nove e mezza, con un ritardo di tre ore. E’ un traguardo possibile, e non così campato in aria: prudenziale, si direbbe in azienda. Continua…
Ieri, Eugenio Scalfari sulla Repubblica, nella solita messa cantata della domenica, lunghissima e con pochi concetti, pure confusi, è riuscito a parlare dell’insorgenza contro la TAV in Valle d’Aosta. Ora, ad 84 anni, non sarebbe davvero l’ora di passare la mano?
Riprende la rubrica “Libri da non leggere”. Dopo i molti consigli letterari del passato, un volume che mi ha lasciato basito.
Volendo leggere un testo con un fondamento storico più autorevole, consiglio “Le cronache di Narnia” di Clive S. Lewis, o “Harry Potter” di Joanne K. Rowling. Volendo un libro con maggiore autorevolezza scientifica, “La storia infinita” di Michael Ende, o “Una storia italiana” di Silvio Berlusconi. Volendo un testo di legge più facilmente interpretabile, la “legge Cirami” sul legittimo sospetto o l’articolo 59 della Costituzione, che regolamenta il numero dei Senatori a vita.
Al di là della satira di bassa lega qui sopra, non ho la competenza in materia per mettermi a discutere di cosa sia “tradizione” o cosa non lo sia: ma osservando la legge, si capisce che non hanno le idee chiare nemmeno in assessorato. L’artigianato valdostano è in una fase cruciale del proprio sviluppo: la fiera di Sant’Orso invade ormai tutta Aosta, l’atelier des métiers occupa l’intera piazza Chanoux senza che vi siano possibilità di ampliarlo. Gli appuntamenti sparsi sul territorio regionale tutto l’anno sono molti, e spesso lasciano a desiderare proprio nell’aspetto qualitativo. Quindi bisogna scremare, trovare dei criteri qualitativi e quantitativi per non fermare la crescita del settore, ma per fargli fare un salto di qualità.
In generale, le migliori soluzioni sono quelle che valorizzano, non quelle che stroncano: posso vendere una camicia che vale 50 euro a 100, ma non lo farò dicendo che “da settembre a dicembre aumento il prezzo del 100%“, dirò che da gennaio in poi “ci sono i saldi, del 50%“. Se anziché spaccarsi la testa (e spaccare i maroni) alla gente decidendo cosa è “tradizione” e cosa non lo è, si fosse deciso di “premiare” chi segue la tradizione, attribuendo un marchio di qualità alle produzioni più autorevoli, e “premiare” chi fa arte, anziché declassare ed emarginare, tutto sarebbe suonato bene, come succede sempre.
E poi, diciamocelo, cos’è la tradizione? E’ tradizione la scultura, che fino a 60-70 anni fa non esisteva in fiera? Non è tradizione la colorazione del legno solo perché fino a 25 anni fa nessuno lo faceva, al di fuori delle chiese? Una abitudine diventa tradizione quando è meritevole di esserlo: la festa della comunità calabrese di Aosta è tutt’altro che una tradizione storica, ma è comunque meritevole di tutela, e i politici vi si impegnano in prima persona (per tornaconto o per buon cuore, la scelta è lasciata ai lettori). Continua…
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