«Quando ero piccolo / m’innamoravo di tutto / correvo dietro ai cani»
| buttato dentro il 1 Giugno 2020 | alle ore 11:17 | da Alessandro Mano | nelle categorie storie di vita vissuta | parlando di gioiosi argomenti quali ad esempio aosta, quartiere cogne | se hai qualcosa da dire scrivilo qui » |Quando ero piccolo, c’era la statale.
La statale era quel mostro mangiapalloni – quanti SuperTele inghiottiti da un tir gigantesco o da una macchina che andava troppo – che si ergeva come ostacolo tra noi e il resto del mondo. Eravamo un gruppone di bimbi e di ragazzini più grandi, il pallone ci scappava sempre mentre giocavamo in cortile, rotolava giù di corsa e poi serviva un “grande” per andare a recuperarlo. Altrimenti altro che bistecchizzare solo un pallone, il tir o la macchina spianava anche noi.
La statale ho imparato a domarla quando andavo ormai alle medie: una volta mica c’erano i bambini svegli di adesso che in prima elementare hanno già la patente, e poi per andare a scuola non dovevo attraversare. Non c’erano marciapiedi, non c’erano strisce pedonali, invenzioni moderne e superflue. Bisognava attraversarla così, un po’ confidando nella fortuna, un po’ nel buon cuore degli automobilisti, un po’ nei loro freni.
La statale, prima della costruzione dell’autostrada per il Monte Bianco, era anche quel mostro con due file di tir fermi, a ogni sciopero era la festa dell’esser murati vivi in casa, un confinamento d’antan. Roba che mia nonna, quando andava in centro, diceva «sono andata ad Aosta» e io la guardavo come avessi visto Et vestito di rosa con i baffi finti.
Il quartiere Cogne è venuto dopo. Noi homo sapiens sapiens ci abbiamo messo un’era geologica ad attraversare la statale, un’altra a scendere una stradina minuscola tra le case della prima collina, una terza a scoprire che c’erano altri sapiens sapiens giù di sotto, ed erano proprio come noi.
Il problema, dopo la cattiva statale, era che c’era un altro mostro con cui fare i conti. «Stai attento che ci sono i drogati». Era un’ossessione. Il Tg diceva che c’erano i drogati, i giornali pure. Io, che già allora ero scemo, dicevo ai miei «il Tg ha detto che il quartiere Cogne pullula di drogati». Invece di sdrammatizzare, il terrore per i drogati non faceva che aumentare.
Ci si addentrava con quest’angoscia, nel quartiere Cogne degli Anni 90 che pullulava di drogati. Perché il problema non erano i drogati, ma il quartiere. Poi però c’erano le case e i bambini, altri SuperTele che non rischiavano di finire sotto le gomme di un tir. C’erano le cabine telefoniche, prima gialle e poi rosse. C’era la chiesa, con dei preti un po’ strani e delle suore che pensavano solo a dire ai bambini quant’era cattivo il diavolo (e io diciamo che non presi bene né i primi, né soprattutto le seconde).
Le uniche siringhe che ho mai trovato le ho viste sotto casa mia, al di qua della statale. Ci avevano invaso? C’erano i drogati anche di qua? Non andava bene, i drogati erano al quartiere Cogne, si annidavano nelle rampe dei garage e gli spacciatori andavano a raggiungerli con il Ciao. Era lì che pullulava di drogati. La statale, ultima frontiera della civiltà, avrebbe dovuto arginarli. Cosa non aveva funzionato?
All’epoca quelle siringhe – ed è la cosa che mi ha sempre colpito di più – sono rimaste al loro posto per mesi, senza che nessuno le raccogliesse o che le buttasse via. E io ogni volta che passavo di lì le guardavo: arrivai al punto di pensare che le vedessi solo io, per colpa del fatto che il pullulìo di drogati era altrove e quella soltanto una mia allucinazione.
Se nel 1993 ci fossero stati gli smartphone e i social network, qualche leone della politica le avrebbe fatte rimbalzare ottenendo milioni di like: dei drogati fuori dal quartiere Cogne, inconcepibile.
Poi è venuto il tempo del lavoro che faccio adesso. Spesso devo raccontare il degrado, i drogati, le retate. Di come cambia la città. E spesso rido per come è dipinto il quartiere, e i miei colleghi mi guardano male. È capitato anche che qualche giornalista di fuori veda per la prima volta il quartiere Cogne, che noi di qui dipingiamo come il Bronx o come la Scampia delle Vele. E sorride guardando i suoi giardinetti inglesi e le strade pulite, l’oratorio pieno di bambini che giocano e il campetto di pallacanestro sempre vivo.
Mica dico che non ci siano problemi, eh. Ma basterebbe la volontà di affrontarli. Come un bambino di dieci anni doma il mostro della statale, una città potrebbe domare il mostro del quartiere che pullula di drogati, aprendo gli occhi.
Alla fine non ci vuole tanto: ci si sporge sul ciglio, si guarda prima a sinistra e poi a destra e se non c’è nessuno si attraversa. La prima volta fa paura e vorresti la mamma per mano, la seconda sai che puoi farcela, la terza non ci pensi più.
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